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Oxygen, il potere del respiro di Patrick McKeown

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Sarà che da quando faccio esercizi di meditazione e respirazione mi sento meglio, sarà perché ogni tanto ho bisogno di avere un argomento che mi affascini e da qualche anno resto ancorata a questo, sarà perché ogni tanto mi piace coccolarmi, comunque sia oggi ho voglia di parlarvi di un libro sul tema, Oxygen, il potere del respiro* di Patrick McKeown.

La prima parte del libro descrive approfonditamente la funzione dell’ossigeno e dell’anidride carbonica nel nostro corpo e aiuta a stabilire quanto siamo in forma per comprendere l’importanza di respirare con il naso e l’autore insegna la prima importante tecnica con cui contrastare l’iperventilazione. pare che la maggior parte di noi respiri troppo, ma soprattutto male.

Nella seconda parte approfondisce il funzionamento dei globuli rossi e in che modo siano indispensabili per massimizzare le prestazioni.

Nella terza parte McKeown spiega come una respirazione corretta conduca anche a perdere peso, oltre che a diminuire il pericolo di infortuni legati allo sport. In particolare il saggio esamina il rapporto tra ossigenazione e salute del cuore. E se soffrite di asma, consiglia alcuni strumenti per scongiurare le crisi indotte dall’esercizio fisico.

La quarta parte infine stila un programma di esercizi su misura, in base allo stato di salute e alla forma fisica di ciascuno di noi.

Ne avevo già parlato, ma ribadisco quanto detto allora. Il respiro è un’attività involontaria che compiamo in modo inconscio e alla quale pensiamo raramente, ma prosegue ininterrotta lungo tutta la nostra esistenza e può esserci d’aiuto. Assumere il controllo del respiro significa ripristinare la naturale capacità del corpo di regolare l’afflusso dell’aria ai polmoni, per stare bene, indipendentemente dalla quantità di attività fisica che svolgiamo.

Respirare bene vuol dire anche tenere a bada lo stress e permette al nostro sistema immunitario di vivere meglio. Più passa il tempo e più me ne sto convincendo. Che sia fortuna sfacciata o meno, da quando mi sono avvicinata a queste semplici tecniche di respirazione anche la mia convivenza con le allergie è migliorata (arance a parte…).

L’autore svolge i suoi workshop in Irlanda, Nord America, Europa e Australia e questo dimostra che le sue teorie hanno buoni fondamenti. Non resta che provare e vedere se funzionano.

Unica accortezza: tenete sempre presente le vostre specifiche allergie. Evitate di esercitarvi in mezzo da un prato se siete allergici alle graminacee in una bella giornata di primavera. Lo sconsiglio! Così pure fate attenzione in caso di allergie agli acari. Mi raccomando: il buon senso prima di tutto!

*Con questo post partecipo al contest de Il Giardino dei libri

Allergia al nichel e gli agrumi

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Più o meno un anno fa facevo l’ennesimo check up con la mia allergologa. Da allora la mia situazione allergologica è mutata in meglio, tanto da convincermi a parlarvene negli ultimi post in barba alla scaramanzia.

Una delle cose che mi aveva fatto felice più di tutte era che in seguito al Prick test per alimenti non risultavo più positiva alla arance. Questo è uno dei frutti ammessi nell’allergia sistemica al nichel, quindi a rigore avrei sempre potuto assumerle. Invece no (chi dice che non sono una donna speciale mente sapendo di mentire… Ahah!). In occasione delle precedenti positività (la prima risaliva a più una quindicina di anni prima, per intenderci), il mio medico mi aveva proibito insieme alle arance anche gli agrumi in generale (limoni, mandarini, clementine, ecc.). Al via libera dell’anno scorso ovviamente mi sono buttata a picco sulle arance. Dire che le adoravo già da prima è un eufemismo. Nel periodo di astensione forzata, quando mio marito faceva le spremute per il resto della famiglia mi ritrovavo a sniffare perfino il profumo delle bucce: questo per farvi capire quanto mi siano mancate nel tempo. Be’, la mancata positività non è valsa però molto, visto che dopo la prima scorpacciata del frutto prelibato labbra, lingua e , il giorno dopo, gli occhi non sembravano aver recepito la nuova diagnosi. Mio marito mi ha fatto notare che cinque arance non erano “un assaggio” e che forse avrei dovuto procedere con maggiore prudenza.

Con l’estate per fortuna le arance sono sparite dalla mia dispensa, ma io non volevo demordere. Ho deciso di ascoltare il parere della mia dolce metà: fare un passo alla volta. Mi sono concentrata sui limoni. Ho iniziato bevendo la mattina con un bicchiere di acqua con tre gocce (tre!) di limone. Sono passata a cinque, fino a raggiungere mezzo limone spremuto in una bottiglietta di acqua da mezzo litro. Tutti i giorni andavo al mare con la mia acqua e limone. Fresca e dissetante.

Vi chiederete: effetti indesiderati? Nessuno.

Come potete immaginare con l’inverno la mia sfida (e la mia golosità) alle arance mi aspettava stava dietro l’angolo. Niente, purtroppo! Io e le arance non andiamo ancora d’accordo, ma non demordo. Conto di convincere il mio sistema immunitario che senza arance non possiamo stare. Prima o poi si convincerà anche lui, no? Ahah.

Allergia al nichel e i finocchi

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Nell’ultimo post del 2016 gongolavo un po’ (molto per la verità) per la mia situazione “allergica”. Lo scorso anno sono stata bene. Dovete sapere che sto sempre con le dita incrociate quando lo dico (e lo scrivo soprattutto qui) – e nel caso delle allergie era un bel po’ di anni che non lo dicevo – perché ho paura di illudermi e di lasciarmi troppo andare, abbassando i comuni accorgimenti che mi fanno stare così.

Eppure non potevo non raccontare l’ultima novità di cui vi ho accennato nel primo post di questo 2017. Lo scorso novembre ho sfidato la sorte. Ok, si fa per dire, visto che si trattava di un fine settimana in cui c’era mio marito con me. Eravamo in cucina mentre lui si preparava una mega insalata. Adoro le sue insalate, ma per me le verdure crude sono sempre state un tabù a causa del nichel e quindi a parte uno sporadico tentativo di mangiare carote, non ho mai pensato di aggiungere qualche altro ingrediente. Mentre mio marito affettava un finocchio, gli ho chiesto: – Che ne pensi se ci provo?
– Abbiamo tutto l’occorrente? – mi ha chiesto lui.
– Mi basta un finocchio, niente di più per cominciare.
– No, intendevo il cortisone in dosi massicce!
– Ah, quello! Certo che ce l’ho.

E così ho mangiato il mio primo finocchio crudo dopo più di sedici anni. I miei figli mi hanno guardata schifati, perché loro preferirebbero morire di fame piuttosto che ingurgitare qualsiasi verdura cruda, ma io e le mie papille gustative abbiamo gioito come non succedeva da tempo. Mio marito mi ha tenuto sotto controllo per tre ore (periodo nel quale di solito sviluppo una reazione allergica più aggressiva), ma io mi sentivo tranquilla.

So già cosa state per dirmi e cioè che con l’allergia al nichel i finocchi non sarebbero indicati. Lo so, ma io ne avevo voglia in barba alla scientificità.

Tra l’altro, secondo il calendario delle verdure di stagione, questo sarebbe un periodo favorevole per mangiare finocchi e così anch’io finalmente da un paio di mesi con una certa frequenza riesco a rispettarlo.

Concludo svelandovi un segreto: anche quand’ero bambina adoravo i finocchi rigorosamente crudi e quindi in questo periodo mi sento come quand’ero piccola quando la mia mamma mi affettava i finocchi da condire con pepe, olio extravergine d’oliva e un filo di aceto. Non potrei mai mangiarli cotti… Non mi piacciono!

Oltretutto negli ultimi mesi sono stata parecchio sotto stress, visto che alla mia veneranda età ho deciso di rimettermi a studiare e tra dicembre e gennaio ho sostenuto un concorso che ha messo a dura prova il mio sistema nervoso e di conseguenza anche quello immunitario. Be’, che dire? Il concorso non l’ho vinto, ma sono riuscita ad arrivare in fondo, piazzandomi comunque nei primi posti (alla faccia dell’età!). E continuo indisturbata a mangiare finocchi senza alcun effetto collaterale.

A dimostrazione che non sono diventata Wonder Woman, mentre vi scrivo sto provando l’ebbrezza di un comunissimo male di stagione: il raffreddore! Etciù ;).

Allergie: la storia di intolleranze e reazioni allergiche di @sonoallergica

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Buon anno a tutti! Passato bene le feste? Io sì, ma dei dettagli vi racconterò nel prossimo post, perché oggi sono felice di lasciare la parola a Elisa @sonoallergica. Ci siamo virtualmente conosciute qui sul blog e poi su instagram (se non la conoscete dovete fare un salto sul suo account). Indovinate un po’? Le ho chiesto di raccontarsi qui per noi. Come sempre è importante condividere le nostre esperienze, soprattutto quando offrono dei suggerimenti per vivere meglio con le allergie e le intolleranze alimentari.

– Allergica o intollerante? Da quanto e a che cosa?

In vent’anni di vita sono stata entrambi: ho iniziato con dermatiti atopiche strazianti che mi hanno accompagnata dai primi mesi fino all’adolescenza. Ho scoperto di essere celiaca, quindi intolleranze al glutine, a tre anni, mentre l’intolleranza al latte l’ho scoperta solo un anno fa: mi è stato detto che, probabilmente, era la causa di buona parte delle mie dermatiti. Sono inoltre allergica al nichel, soprattutto sulle mani: non posso nemmeno toccare un pomodoro!
Ho fatto qualche mese di dieta disintossicante dal nichel l’anno scorso, ma ancora adesso non mangio pomodoro né caffè, perché mi infiammano subito. Anni fa ho scoperto per caso che le piscine mi scatenano enormi reazioni allergiche alla faccia: non metto la testa sott’acqua da anni, ma ancora non ho scoperto quale sia la sostanza scatenante!

– Come la diagnosi ha cambiato le tue abitudini?

La celiachia è stata la prima diagnosi che ha davvero cambiato le mie abitudini: ricordo benissimo l’ultimo Plasmon che ho mangiato, e la frustrazione del non poter più fare colazione con mio nonno, intingendo gli Oswego nella stessa tazza di latte. Ma avendola scoperta da piccola, direi piuttosto che ha formato le mie abitudini: presentarmi come celiaca appena entro in un ristorante, non usare le posate altrui, ricordare la mia intolleranza quando sono invitata a cena, e soprattutto cercare, ad ogni viaggio, la versione senza glutine dei prodotti tipici del luogo.
A cambiare le mie abitudini sono state invece l’intolleranza al lattosio e la sensibilità al nichel: da quando le ho scoperte compro molti meno prodotti confezionati, ho ridotto drasticamente il consumo dei dolci e imparato che esistono alternative alla passata di pomodoro. Sicuramente la mia italianità ne risente: per me mangiare una pizza margherita è proprio impossibile!
Le dermatiti invece mi hanno insegnato a prestare attenzione a cosa mi metto addosso: lezione che mi è tornata molto utile negli anni per scoprire sensibilità a vari alimenti e sostanze, che sono durate alcuni anni e poi passate senza troppe conseguenze.

– Quando allergie e intolleranze si presentano a tavola, all’inizio è difficile conviverci. Come hai reagito subito e come a distanza di tempo ti sembra di essere cambiata?

Sono stata a dieta, diligentemente e serenamente, per la maggior parte della mia vita. Ma per arrivare alla vera serenità ho attraversato due cicli di crisi: uno poco dopo la diagnosi, l’altro verso la fine del liceo.
Non avevo problemi all’idea di avere “una pancia speciale”: quel che non era facile era accettare le prese in giro degli altri bambini, che i primi tempi mi hanno fatto pesare molto questa diversità. Se non altro, ho capito molto in fretta che tipo di persona non volevo diventare. Ma la paura dell’opinione altrui mi ha aspettata, puntuale, tra le insicurezze dell’adolescenza: tendevo a sminuire il mio problema, dicendo che “sgarrare ogni tanto non era un problema”, per paura di sembrare rompiscatole e noiosa, e di essere esclusa per questo.
Inoltre il cibo senza glutine vent’anni fa era davvero pietoso. Non ho pranzato fino ai 10 anni perché il cibo della mensa era immangiabile, facendo venire non pochi sensi di colpa a maestre e genitori. Sicuramente il fatto che oggi si trovino centinaia di prodotti buoni e disponibili praticamente ovunque mi ha risollevata non poco!
Ho fatto veramente pace con quella che ero quando mi sono trasferita in Francia e ho iniziato a gestire da sola la mia alimentazione, selezionando quello che mi piaceva e mi faceva stare bene. Altri due fattori fondamentali sono stati la vicinanza di un fidanzato che mi ha accettata da subito per quella che ero, e la riscoperta dello yoga, che avevo praticato da piccola e che da quattro anni fa parte della mia routine quotidiana.
Oggi posso dire di essere davvero serena di fronte a qualsiasi imprevisto: prima di scoprire l’intolleranza al lattosio ero formaggio dipendente, ma ciò nonostante non ho sofferto nel doverlo eliminare.

– Ci sono degli alti e bassi nell’affrontare allergie e intolleranze? Come li affronti, soprattutto quando ti senti un po’ demoralizzata?

Devo dire che, dopo vent’anni, i bassi sono proprio pochi. Però capitano: magari davanti all’ennesima persona che ti invita a cena senza ricordarsi che sei intollerante e ti dice “va beh, mangia il prosciutto!” che ha appena tagliato col coltello del pane. Oppure quando la dietologa di un’amica le fa togliere il glutine e il latte per due mesi, e questa a cena prima si rivolge al cameriere con un “sono celiaca!”, poi si mangia il pane dal cestino perché “per una volta non fa niente”. O quando un cameriere mi chiede: quanto sei celiaca? In questi casi cerco di essere gentile, ma di correggere il tiro: sono stata vittima di questo tipo di influenze in passato, ora vorrei aiutare altri intolleranti a non esserlo.
Ormai non mi capita più di desiderare una fetta di pane o di pandoro: se qualcuno li mangia e sono freschi e squisiti, semplicemente li annuso. Fin da piccola, annusare era la mia tecnica per conoscere i cibi che non potevo mangiare. Dopodiché sono grata di averli potuti gustare almeno con uno dei miei sensi!
Quando capitano i momenti no, semplicemente mi sfogo: con una corsa, con me stessa, con un post su Instagram (qui ne trovi uno abbastanza esasperato: https://www.instagram.com/p/BMCTYoSgs8w/ ) e poi lascio perdere. Perché la vita mi ha tolto qualche cibo, ma mi ha lasciato migliaia di cose da godermi, e preferisco concentrarmi su quelle.

– Il tuo account @sonoallergica su Instagram è molto interessante. Ogni giorni su Stories presenti prodotti di cui fai uso. Raccontaci quando hai cominciato ad aggiornarlo.

Avevo aperto Instagram per partecipare a un contest di beneficenza e non sapevo che farmene. Invece che chiuderlo, ho iniziato a postare foto di quello che mangiavo e dei miei viaggi, a tempo perso. Pian piano hanno cominciato a scrivermi altre persone con le mie intolleranze, chiedendo dove compravo i prodotti, dove avevo mangiato quando ero all’estero, o chiedendomi consigli sulla dieta. Io stessa ho cominciato a interagire con altri profili, e mi sono ritrovata in una bella community, capace di aiutarsi e sostenersi a vicenda. Un bel posto in cui passare le mie pause lavorative!
Da pochissimo ho trovato il coraggio di aprire un blog di viaggi e recensioni senza glutine (qui trovi il link: http://www.sonoallergica.it) : era un desiderio che avevo da tempo, ma che rimandavo perché non mi sentivo sicura di me stessa. Dieci giorni dopo averlo aperto ho vinto un contest, e sono diventata reporter di viaggio senza glutine in Australia. La soddisfazione di essere stata sostenuta da tante persone come me è enorme: spero di essere all’altezza della fiducia che mi hanno accordato.

– Ho anche una domanda indiscreta: se un prodotto ti fa male o non ti piace lo condividi con i tuoi followers e perché?

Più che indiscreta, è una domanda complessa. Perché se non dici che un prodotto non ti è piaciuto non stai informando la tua rete, ma se lo dici esprimi un giudizio parziale. Cerco di stare molto attenta nel criticare i prodotti, e di specificare il motivo per cui non mi è piaciuto: se una merendina sa di conservante, magari a me non piace perché sono abituata a prodotti più naturali, ma una persona cresciuta a Buondì e Kinder Paradiso magari la apprezzerà.
Se invece una crema mi ha dato fastidio, devo essere consapevole che ogni corpo reagisce a proprio modo, e non è detto che per un altro non possa essere perfetta. Proprio l’altro giorno ho parlato di una crema anticellulite che finalmente non mi irritava la pelle, e una ragazza mi ha scritto che a lei bruciava e arrossava tantissimo. Di sicuro non smetterò di comprarla per questo, ma è stato interessante sapere che un prodotto sicuro per me non lo era per un’altra persona.
Quando invece un prodotto è pessimo, generalmente il giudizio è unanime: un pandoro di marmo non è un buon pandoro, uno shampoo che secca terribilmente tutti i tipi di capelli non è consigliabile per nessuno. Sul blog vorrei proprio lasciare spazio a queste differenze, e dare più spazio anche alle opinioni di altri sui prodotti che uso.

– Come me vivi al mare. Quanto il mare ti aiuta (se lo fa, ovviamente), ad affrontare la vita con certe privazioni che non appartengono a tutti?

Purtroppo ormai vivo al mare solo una parte dell’anno. Il nostro obiettivo sarebbe trasferirci definitivamente in un condominio vista spiaggia, ma per ragioni lavorative non so quando riusciremo a realizzarlo.
Sicuramente per me la natura è un aiuto fondamentale: mi mette davanti all’unica persona a cui devo rendere conto, ovvero me stessa. Lontana dagli altri e dal confronto, più o meno palese, con essi, mi rendo conto di quanto sono effettivamente fortunata e piena di possibilità. Non solo, ma una camminata di mezz’ora sulla spiaggia mi permette di lasciarmi alle spalle tutti i cattivi pensieri.
Credo che il mare mi abbia dato due grandi insegnamenti: il primo, è che siamo tutti diversi. I granelli di sabbia sembrano infiniti, ma soprattutto indistinguibili, se guardati dall’alto. Ma se si prende un pizzico di sabbia sul palmo della mano, si vedrà che ognuno di essi è diverso dall’altro per colore e dimensione. Essendo tutti diversi, non esiste una normalità da cui mi sto allontanando: esiste solo la mia strada, e come io voglio percorrerla.
Il secondo è che il mondo va avanti comunque: sia che io decida di commiserarmi per le mie privazioni sia che o decida di fregarmene. Come le onde continuano il loro moto, così fa il mondo, che cresce, cambia e si evolve indipendentemente da me. I miei problemi non sono una tragedia irrisolvibile, così come non lo sono i miei errori: basta rimboccarsi le maniche e salpare di nuovo con la prossima onda.

– Hai già regalato una ricetta deliziosa per il mio blog. Quali consigli oggi ti senti di dare alle lettrici per affrontare con serenità allergie e intolleranze?

Credo molto nei due insegnamenti del mare che ho citato prima. Credo che la chiave per vivere con le allergie e le intolleranze sia la consapevolezza: quella di sé e dei propri limiti, che poi sono i confini del nostro essere unici.

Grazie Elisa, quando vuoi sei sempre la benvenuta.

Le mie allergie dopo 16 anni

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“Anno bisesto anno funesto” – dice il proverbio. Il mio non lo è stato per niente. Credo di non avere memoria di un anno migliore da punto di vista della mie allergie da tanto tempo. E’ stato l’anno in cui ho fatto l’ennesimo check up. Dire che è andato bene è un eufemismo.

Per quanto riguarda gli inalanti, i pollini di graminacee e le spore dell’alternaria sono sotto controllo. Vediamo in inverno inoltrato (a partire dal mese prossimo più o meno) cosa succederà con la new entry dei pollini di cipressi).

Per quanto riguarda il nichel, la situazione rimane stabile. Questo vuol dire che le mie abitudini non cambiano, finché non sorgono nuovi problemi. Per la cronaca quest’anno sono andata dal parrucchiere una sola volta e con un taglio pari, quei fili di grigio che fanno capolino, non sono così male. Niente make up e solo occhiali dalle tinte forti per darmi un certo tono al viso, non sono sufficienti in pieno inverno a darmi un’aria brillante, come invece l’abbronzatura naturale riesce a regalarmi nei mesi estivi.

Per quanto riguarda l’alimentazione, sto praticamente gozzovigliando (per quanto posso fare io con la lista di ingredienti a cui posso attingere). In buona sostanza quei cinque chili di troppo che mi accompagnano da qualche anno non accennano a diminuire, nonostante l’attività fisica che faccio con una certa regolarità.

L’assenza di reazioni allergiche ai farmaci antinfiammatori conferma che devo continuare a non utilizzarli. Camminate e yoga-pilates, accompagnate da sessioni di meditazione da autodidatta mi stanno aiutando a combattere i dolori muscolo-tensivi del collo e delle spalle. Non appena allento l’attività fisica, me ne accorgo subito. L’omeopatia (e la mia omeopata) rimane una freccia al mio arco: senza l’ultimo rimedio credo che non sarei riuscita a stare così bene.

Cosa dire? Spero che il trend si confermi positivo per il mio sistema immunitario, perché vuol dire che molte delle premesse – tra cui quella di riuscire a gestire lo stress che anche le allergie mi causano – restano buone.

Un po’ di scaramanzia non guasta e quindi continuo a tenere le dita incrociate.

Il respiro felice di Pam Grout

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il-respiro-feliceRespirare è la cosa più facile che facciamo (che lo si voglia o no, senza respirare non si vive). Oggi vi consiglio il saggio di Pam Grout dal titolo Il respiro felice* edito da Tea nel 2016 perché parla proprio di questo. Mi rendo conto che non tutti possano essere attratti dalla pratica della meditazione come me in quest’ultimo periodo, ma credo che nessuno possa dirsi esonerato dal fatto di respirare. Che poi, facendo attenzione alla nostra attività respiratoria di fatto “meditiamo”, be’, è solo un effetto collaterale (un ottimo effetto collaterale anche per combattere lo stress che ci accompagna nelle nostre giornate e che, per chi soffre di allergie, può essere un ulteriore effetto scatenante).

C’è poi un altro motivo per cui ve ne parlo. A detta dell’autrice, migliorare la respirazione migliorerebbe il nostro metabolismo, oltre che l’umore. In pratica meglio respiriamo e più ossigeno liberiamo nel nostro organismo con il respiro, più efficacemente il nostro corpo brucia l’energia che introduciamo con il cibo (cit.).

Ok – mi direte voi -, ma che scemenza è questa Simonetta? Respiriamo dal primo vagito!

E qui sta il punto. Non tutti respiriamo “bene”. Vale a dire che i nostri polmoni – almeno per molti di noi – avrebbero una capacità superiore alla quantità di ossigeno che di solito inspiriamo. Ci limitiamo a fare respiri brevi e con una frequenza maggiore rispetto a quello che, in seguito ad una corretta attività respiratoria, potremmo fare.

Il saggio è molto semplice, ma per me è stato davvero illuminante, non tanto perché mi piacerebbe perdere qualche chiletto di troppo (pare che sia un altro effetto collaterale: ma finché non vedo non credo!), ma perché già mentre leggevo e sperimentavo alcune delle tecniche che l’autrice propone, mi sembrava di avere più energie che di solito, in questo periodo dell’anno, quando le giornate si accorciano e vorrei soli infilarmi sotto le coperte e dormire, languono.

La Grout propone in sintesi tredici tecniche di respirazione molto semplici da compiere in qualsiasi momento della giornata, visto che non sono vincolate a scarpette da corsa, tappetino da yoga o palestre da frequentare. Come sempre, si tratta di esercizi da sperimentare e dai quale scegliere quello o quelli che vi aggradano di più (anche tutti se siete davvero eccezionali, magari alternandoli).

E’ inutile che vi dica che una corretta respirazione non solo attiva il metabolismo, favorendo quindi la perdita di peso, ma riduce anche ansia e stress, contribuendo a una maggiore presenza mentale e a una condizione di generale benessere.

Le avvertenze sono sempre le solite in questo caso: attenzione a chi soffre di allergie respiratorie. Evitate di esercitarvi in un parco all’aperto in piena impollinazione o su tappeti o in luoghi impolverati se siete allergici agli acari.

Per il resto vi consiglio di provare a respirare con il cuore :). Vi fare sentire bene, ed è questo che conta.

Lo yoga tibetano del respiro di Anyen Rinpoche e A. Choying Zangmo

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lo-yoga-tibetano-del-respiroLo yoga tibetano del respiro* di Anyen Rinpoche e A. Choying Zangmo è uno di quei saggi che da mesi tengo a portata di mano insieme ad altri di cui vi ho parlato quest’estate. No, non sono là a poltrire. Tutt’altro. Sono stropicciati, letti e ri-letti più volte, pieni di sottolineature, di appunti a margine e di post it, perché sono “vissuti”. Ve ne avevo già parlato in un altro post, ma questo tipo di saggi hanno bisogno di sedimentare con la loro filosofia e le diverse (ma molto simili) tecniche che permettono di tenere a bada lo stress. In chiusura di uno degli ultimi post “Il terreno allergico e lo stress” dicevo che ognuno di noi dovrebbe mettere ordine nella propria vita, trovando strategie che ci permettano di vivere con maggiore serenità, così da riequilibrare il nostro organismo già provato dalle allergie.

Negli ultimi tempi la lettura in generale e l’approfondimento di alcuni temi come la meditazione hanno contribuito (o così la penso io) a farmi stare meglio. Da quasi un anno non faccio più ricorso agli antistaminici e per me è un vero successo.

Lo ripeto per dovere di cronaca: sono un’autodidatta. Quello che riporto in questo giardino d’inverno è la mia semplice esperienza (per ora piuttosto positiva).

Tra le altre cose, meditare sta risultando più facile del previsto. Facile come respirare. Il respiro infatti è fondamentale per la nostra esistenza (come anche nella meditazione). Non possiamo farne a meno. Cito gli autori: “a livello cellulare, la forza e la vitalità del corpo viene mantenuta attraverso il giusto equilibrio di ossigeno e di anidride carbonica“.

La respirazione può essere influenzata dalla condizione psicologica, ovvero dalle percezioni e dalle emozioni. Come sostengono gli autori “la frequenza, la profondità e la qualità della respirazione cambiano in risposta alle emozioni“.

Avete mai fatto caso che quando siete più nervosi il vostro respiro è accelerato? Quello che questo saggio cerca di spiegare è come ridurre il numero degli atti respiratori giornalieri. Questo non significa vivere in apnea, ma gestire e riconoscere il nostro respiro per riuscire a ridurre lo stress.

La calma che con la meditazione e la corretta respirazione si ottiene porta sollievo alla nostra mente (e nel nostro caso al sistema immunitario). E magari, in caso di reazioni allergiche, riusciamo a viverle e superarle meglio. Con questo non voglio dire che in piena crisi allergica vi dobbiate sedere su un tappetino da yoga a praticare le asana e a respirare con il naso a narici alterne. Se butta male, correte al pronto soccorso. Quello che intendo è che dopo, grazie alla meditazione possiamo sentirci meno in ansia, meno preoccupati e, per quanto mi riguarda, meno in colpa.

Se nella prima parte del libro gli autori chiariscono perché praticare lo yoga del respiro, citando la filosofia buddista senza dimenticare alcuni riferimenti alla cultura occidentale, nella seconda parte, dal titolo “Come praticare lo yoga del respiro”, ci sono una serie di esercizi di meditazione-respirazione. Il consiglio che vi do è di leggerli e magari provarli, ma solo con lo scopo di trovare quello più adatto a voi. Non necessariamente tutti faranno al caso vostro, ma anche la semplice sperimentazione vi farà sentire più tranquilli, ma soprattutto non esiste un “giusto” e uno “sbagliato”: respirate e fate caso al vostro respiro. Tutto il resto viene da sé.

Nel saggio non lo dice, ma mi sento in dovere di fare una precisazione: per chi è allergico agli acari, meditare su un tappeto e in un luogo impregnati di polvere non mi pare una buona idea. Evitatelo! Lo stesso dicasi nel caso in cui foste allergici alle graminacee e desideraste meditare in un bellissimo prato fiorito. Anche in questo caso, vi consiglierei di fare sempre uso di quella meravigliosa invenzione che si chiama “buon senso”.

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Allergie e l’estetista

L’altro giorno sono andata a fare la spesa settimanale e mentre ero in coda alla cassa è passata una ragazza con il viso sfigurato da quella che, a occhio e croce, era una brutta reazione allergica. Mio marito che dopo tanti anni di convivenza insieme a me riconosce i sintomi di una crisi in piena regola mi ha fatto cenno. Dopo averlo sgridato (quasi come si fa con i bambini) perché non si osserva così una persona che – e lo so purtroppo per esperienza – avrà provato un grande imbarazzo ad uscire di casa così, ho fatto un’unica ipotesi. Quella non poteva che essere il post-seduta da un’estetista.

Non è la prima volta che parlo di cure estetiche nel mio giardino d’inverno. Chi mi segue da tempo sa anche che ho dovuto rinunciare a “trucco e parrucco” a causa della mia pelle ipersensibile. Del make up ho fatto a meno praticamente dalla prima diagnosi di reattività al nichel, mentre dalla tintura mi sono separata dopo una brutta reazione allergica qualche anno fa.

Non ho mai parlato della mia esperienza con l’estetista. Parecchi anni fa mi sono regalata un ciclo di massaggi per drenare quei fetentissimi cuscinetti che abbraccia(va)no il mio fondo schiena. All’inizio non mi ero posta il problema che per il massaggio sarebbe stato usato un olio (che stupida, vero?), anche se come un disco rotto quando devo mettere a contatto della mia pelle qualsiasi prodotto faccio notare la mia reattività. Vuoi la leggerezza, vuoi un pizzico di fortuna, ma dopo qualche seduta non era successo niente e quindi ho continuato a farmi coccolare. Dopo qualche settimana però la pelle idratata dall’olio “anallergico” cominciava a darmi qualche segnale che tanto anallergico quel prodotto non fosse (almeno per me).

Adoravo la mia estetista. Mi faceva sentire bene, ma l’unica soluzione per poter continuare era che mi portassi il “mio” olio da casa. Visti i prezzi sia delle sedute che dei prodotti Vea, la mia esperienza si è conclusa con la fine del primo ciclo di massaggi.

Arrivo al dunque. Spesso nemmeno un medico (non dico l’allergolo) è assolutamente certo che una certa cosa (farmaco, alimento, ecc.) non sia causa di una reazione allergica. Mi chiedo che tipo di formazione debba avere un’estetista per avere a che fare con noi delicatissime allergiche. In fondo, mi direte voi, un viso arrossato o delle gambe pruriginose non sono così gravi, ma…

Non me ne vogliano le amiche estetiste, ma quando sento che è sufficiente una scuola professionale di qualche anno, mi rendo conto che chi come me soffre di allergie non prende alla leggera una seduta estetica.

Cosa ne pensate? Vi è mai accaduto niente? Avete rinunciato all’estetista? Ci affidiamo solo alla fortuna o serve qualcosa di più?

Il terreno allergico e lo stress

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Era da un po’ che ci giravo intorno. Ora è arrivato il momento per me di fare chiarezza su cosa sia lo stress e perché l’essere allergico ne risenta, peggiorando lo stato complessivo di salute.

Mi prenderete per la solita logorroica (e un filino presuntuosa), ma a me sapere che lo stress peggiora la resa del mio sistema immunitario senza sapere come mi dava fastidio, nel senso che assomigliava tanto a “un atto di fede”. Per natura o per deformazione professionale ho bisogno di approfondire (e di conseguenza sono solita condividere con voi lettori i risultati delle mie ricerche).

Per prima cosa è indispensabile definire cosa sia lo stress. Cito Mario Chaput di cui ho già avuto modo di scrivere: “qualunque shock subito dall’organismo provoca stress“.

Qualunque! Si va dalla paura di perdere il lavoro, all’eccessivo lavoro, dalla mancanza di sonno, alla voglia di primeggiare, dal con-vivere con le allergie (o un’altra malattia), al rumore in eccesso. Metteteci dentro qualsiasi cosa vi venga in mente che potrebbe alterare il vostro stato fisico e mentale.

Lo stress è una risposta del sistema nervoso e ghiandolare. Questi due sistemi si mettono in moto per permetterci di reagire (fuggire o combattere lo shock) oppure incassare (resistere) il più a lungo possibile.

Secondo gli studi portati avanti da Hans Selye, “lo stress si esprime tramite la sindrome di adattamento, che comporta tre fasi: fase d’allarme, fase di resistenza e fase di esaurimento.

Attraverso i sensi lo shock viene percepito dal cervello, “che invia un messaggio all’ipotalamo, il quale ordina alle surrenali di secernere adrenalina e noradrenalina, […], di norma utili per ristabilire la situazione.”

Gli ormoni in pratica coordinano gli sforzi per cercare una soluzione nel più breve tempo possibile. Non a caso la pressione del sangue aumenta (avete presente il cuore che batte all’impazzata?), i bronchi i dilatano (abbiamo il respiro corto, come dopo uno sforzo) e “lo zucchero di riserva (glicogeno) depositato nel fegato viene rilasciato […] per consentire di alimentare con la sua energia le cellule.”

A questo punto potremmo risolvere il problema in cui siamo in corso (il picco di stress) velocemente. Fine della storia. Quella che Selye definisce “fase di esaurimento”.

Oppure “perdiamo la testa”, provocando altro stress. Purtroppo o per fortuna (dipende dai casi) il nostro cervello – in particolare la zona limbica – ha la memoria molto lunga e si ricorda che magari nell’ultima occasione di stress (crisi allergica? problemi sul lavoro? i capricci di un figlio?) ci è stato difficile uscirne. Si innesca quella che Selye chiama “fase della resistenza“, in cui tutto il sistema nervoso e ghiandolare si mette in tensione al fine di trovare una soluzione. Secondo Chaput è fondamentale che in questo contesto rimanga stabile il livello glicemico, perché “lo zucchero è il carburante, la fonte di energia che permette alle cellule nervose di lavorare meglio.” Le ghiandole surrenali continuano a produrre adrenalina e a richiedere al fegato di rilasciare zucchero nel sangue.

Con il contributo del sistema ghiandolare, viene prodotto un ormone – il cortisolo (che è un ormone naturale), che “permette la produzione di zucchero attingendolo alle riserve di proteine e grassi“.

Secondo un altro studioso dello stress, Soly Bensabat, “in dosi fisiologiche e moderate il cortisolo esercita inoltre un effetto antiallergico e antifiammatorio. Tuttavia a dosi troppo elevate può favorire la comparsa o l’acuirsi di allergie.”

Che ve ne pare?

In pratica, l’eccesso di quantità quotidiana di cortisolo prodotta dalle surrenali può essere pericoloso per la nostra salute. Ecco che chi non è allergico rischia di diventarlo e chi lo è già rischia di far peggiorare le proprie allergie.

Secondo Chaput: “continuando e resistere, il livello di cortisolo quotidianamente prodotto […] aumenta pericolosamente, assieme a quello degli altri ormoni dello stress. […] Il cortisolo in eccesso si attacca alle cellule della zona limbica, rendendoci più emotivi e distruggendo i meccanismi nervosi che ne permettono la diminuzione nel sangue.”

Il rischio successivo è che lo stress diventi cronico, perpretando emozioni, pensieri e debolezze sviluppate nella zona limbica, senza mai arrivare all’esaurimento.

Secondo Jean-Michel Bader, “il cortisolo in eccesso uccide le cellule nervose che [invece] hanno il compito di regolarne la quantità nel sangue.” Insomma il gatto che si morde la coda. Gradualmente si perde la capacità di ritrovare uno stato rilassato, senza riuscire a superare gli shock ai quali andiamo incontro.

Lo stress a cui sottoponiamo le nostre cellule, secondo altri studiosi, favoriscono tra l’altro la secrezione di istamina e lo sviluppo del terreno allergico.

Che cosa fare allora? E’ fondamentale scegliere sane abitudini di vita che favoriscano il rilassamento e riducano o correggano gli shock ai quali siamo costretti ogni giorno.

La prima tappa di qualsiasi approccio resta quella di “fare ordine” nella propria vita. E’ chiaro che per ognuno di noi le cause scatenanti possono essere diverse. Sta a noi trovare quelle con cui non riusciamo a convivere.

Di tutto ciò, le nostre allergie ci saranno grate.

Più facile a dirsi che a farsi, direte voi. Già…

Allergie e professionalità

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Oggi ho voglia di raccontarvi una cosa che è successa alla fine di quest’estate. Premetto che sono sempre attenta alle notizie che parlano di allergie e spesso sono associate all’aspetto puramente medico oppure a fatti tristi (chi non ha letto dell’ennesimo shock anafilattico di Montano o della ragazza allergica all’acqua).

Voglio andare controcorrente, perché le buone pratiche delle piccole cose passano troppe volte sotto silenzio.

Vivo a Pesaro, una città di mare, e d’estate com’è ovvio che sia è piena di turisti che vengono da fuori. Il lungomare, che io adoro, è il tipico viale in cui ci sono moltissimi ristoranti medi e piccoli, tanti bar e innumerevoli gelaterie. Le mie figlie – che non hanno allergie alimentari – sono innamorate di una gelateria in particolare che affaccia davanti al parco giochi dove sosterebbero per delle giornate intere (io un po’ meno…).

A settembre si tiene la Fiera di San Nicola. I viali sono letteralmente invasi di bancarelle. La quantità di gente che si riversa in città è davvero sorprendente. In quei tre giorni qualsiasi ristorante, bar o gelateria ha file interminabili di persone in attesa.

Arrivo al dunque.

Ero in fila anch’io nella gelateria biologica per prendere il gelato per le mie bambine che, nonostante la fiera, volevano quel cono là. Odio le file e odio profondamente coloro che di fronte al banco sembrano degli alieni indecisi o inconsapevoli che i gusti del gelato sono quelli (sono sempre quelli!).
Be’, è arrivata una signora dicendo che voleva un gelato per la figlia intollerante al lattosio. Ero dopo di lei quindi ho potuto assistere alla scena in diretta.
Nella gelateria hanno preso un cono chiuso in una confezione sigillata, hanno provveduto a recuperare una spatola intonsa (per evitare contaminazioni) e alla fine hanno preparato il gelato riservato per gli intolleranti al lattosio. In barba alla coda. In barba alle persone che aspettavano picchiettando con la punta del piede sul pavimento.

Ecco. Quella professionalità – secondo me – è stata stupefacente.
Mi capita spesso e ne ho già parlato anche qui nel mio giardino d’inverno di gelaterie dove – potendo io mangiare solo il gusto al fior di latte – il gelato, nonostante chiedessi che non fosse contaminato con gusti alla cioccolata o alla nocciola, mi veniva servito pasticciato (per la gioia di mio marito che spiluccava le parti “cioccolatose”).

Un consiglio: la cortesia, la calma e la considerazione per chi ha allergie e intolleranze non ha prezzo.

Ora chiedo a voi? Avete qualche storia felicemente riuscita in cui le allergie o le vostre intolleranze sono state trattate con gentilezza e non con la solita arroganza di chi non è mai stato male?