Mi sono preparata razionalmente e psicologicamente alla prima inoculazione del vaccino Covid-19. Avevo “studiato” la data, l’orario, avevo sentito medici amici e conoscenti, la dottoressa dell’ASUR. Insomma, ero tranquilla.

Avevo fatto – anche se non ottenendo i risultati sperati – la mia annuale cura omeopatica “recupera le forze” (la mia energia fisica è ai minimi storici, nonostante il trattamento). Ero pronta. D’altronde mettendo sui due piatti della bilancia da una parte la possibilità di prendere il virus (e i numeri dell’ultimo anno e mezzo parlano da soli) e dall’altra quella di avere una reazione allergica a sostanze “sconosciute” al mio sistema immunitario e che il mio organismo ignora, la seconda ipotesi pesava di più. Fine della storia.

Mi sono presentata al Punto Vaccinazioni della mia città puntuale. Strano ma vero, considerando che quando stavo per scendere dalla macchina mi sono accorta di aver lasciato l’intero fascicolo storico delle mie allergie a casa e sono dovuta tornare a prenderlo.

Dopo i vari passaggi amministrativi e non, sono finalmente arrivata davanti al medico che letta la mia cartella clinica, si è preso qualche minuto di silenziosa riflessione e alla fine mi ha detto: – Ma lei è proprio sicura di voler fare il vaccino?

In realtà non mi ha lasciato rispondere. Forse perché la domanda aveva poco senso in quel frangente. Chissà. Comunque mi ha detto che avrebbe proceduto con la somministrazione del vaccino “preparandoci al peggio” (lo dico io, non il medico). Anziché infilarmi nei cubicoli come tutti gli altri, mi hanno accompagnato dietro un separè e mi hanno preparato inserendo nell’avambraccio destro un ago per attaccarmi ad una flebo di fisiologica. Nell’eventualità che iniziasse una crisi, avevo la vena aperta e pronta per intervenire. Solo allora mi hanno fatto il vaccino (per quel giorno era previsto “Moderna”). La scrupolosità del medico è stata encomiabile: è rimasto con me per i primi dieci minuti e poi gli infermieri hanno fatto entrare mio marito per farmi compagnia, verificando ogni tanto le mie reazioni. Mi hanno trattenuto per oltre un’ora in osservazione e credo che tutti abbiano esultato virtualmente perché tutto era andato liscio. La più contenta ovviamente ero io, che vi credete!

In piena fioritura di graminacee, oleacee (e, per non farci mancare niente, le fagacee alle quali per fortuna non sono allergica…), stavo assumendo la solita terapia a base di antistaminici ad uso locale e orale. Quindi tutto bene. Potevo tornare a casa in tranquillità. Unico tasto dolente è stato il feroce mal di testa che mi è scoppiato dopo qualche ora, ma ho pensato che la colpa fosse della tensione accumulata nell’attesa.

Purtroppo la mattina successiva mi sono svegliata con un leggero prurito in gola, ma non ci ho dato peso. Anzi ho pensato che potesse essere l’inizio di un po’ di raucedine legata al fatto che nel Punto Vaccinazioni ci fosse l’aria condizionata molto forte e io non mi ero portata nulla per coprirmi.

La mattina successiva ancora il prurito si era intensificato e una tossetta fastidiosa ha cominciato ad allarmarmi. Il terzo giorno sono dovuta ricorrere alle maniere forti ricorrendo al fantastico cortisone. Ci ho messo una decina di di giorni per ristabilirmi.

A distanza di tre settimane dovrò fare la seconda dose. Nonostante tutto – che poi il tutto si risolve sempre nel timore di un’ipotetica reazione allergica – voglio fare la seconda dose, perché nella malaugurata ipotesi in cui dovessi prendere il Covid il problema di quali farmaci assumere per curarlo si riproporrebbe. Quindi: tanto vale, no?

Qualcuno ha voglia di raccontarmi la sua avventura in Centro di Vaccinazione? Sono curiosa.