La mia esperienza con un cocktail di allergie è complessa: pollini, muffa, nichel, farmaci, alimenti.
Vivere con le allergie è un’abitudine.
Mi spiego. Ormai ho sviluppato l’occhio clinico nelle diverse occasioni. Se vado al bar e ordino il “cappuccio” osservo sempre se qualcuno prima di me ha voluto un cappuccino di soia, essendo allergica alla soia.
Se vado in un bar che non conosco chiedo il cappuccino liscio, senza cacao o zabaioni o creme di varia natura che vanno tanto di moda.
Se prendo il gelato rigorosamente al gusto fior di latte, chiedo sempre che non sia mischiato con avanzi di altri gusti (cioccolata, nocciola…). Non a caso odio la tendenza dei gelatai di usare contenitori non a vista, perché se il gelato è pasticciato io non riesco a vederlo.
Se vado a mangiare fuori chiedo sempre che la carne o il pesce siano cotti senza aggiunte di sapori, salvo poi condirli io con olio e sale.
Difficilissimo inoltre è avere la carne o il pesce senza verdure di abbellimento. Nonostante io lo chieda sempre e specifichi che non sono interessata all’estetica del piatto, una fogliolina verde e un pomodorino rosso per bellezza me appoggiano comunque.
C’è una cosa da aggiungere: ho scoperto che l’inventiva in cucina è davvero straordinaria.
I cuochi mettono la cipolla dove uno meno se lo aspetta, il prezzemolo ovunque.
Qualche volta mi sento tanto Sally nel film di Harry ti presento Sally quando, nella scena più conosciuta, chiede tutti gli ingredienti a parte. Pensare a quel film che ho visto milioni di volte mi fa sentire meno in imbarazzo (perché all’inizio è così, è inutile illudersi). Vedere me alle prese con un ordine al ristorante, fa venire invece l’allergia a cuochi e camerieri.
Insomma le allergie alimentari e l’esperienza vanno a braccetto e consiglio a tutti di sviluppare una bella memoria per evitare errori grossolani.