Questo articolo è un nuovo passo indietro, alle origini delle mie allergie.
Il motivo è molto semplice: come vi dicevo nell’ultimo post quest’estate mi sono candidata per il concorso organizzato da Donna Moderna dal titolo “La tia vita in un libro”. Pensavo di avere qualche chances ;). Pensavo, appunto… Non sono stata selezionata, ma il materiale su cui ho lavorato mi è sembrato un ottimo spunto per raccontare nel mio giardino d’inverno qualche antefatto al blog.
Oggi quindi vi racconto la seconda parte della mia storia che risale a quando ero bambina e le allergie non erano particolarmente conosciute (forse sottovalutate, almeno nel mio caso).
Da che ho memoria l’altra sfacciata allergia che è cresciuta con me, ma che non si sapeva se un’allergia lo fosse veramente, era quella all’acqua, famosa tra i miei familiari (nel senso che ero lo zimbello dei miei cugini) e risalente alla notte dei tempi. Facevo il bagno o la doccia e uscivo dall’acqua ricoperta di vescicole rosse al centro delle quali campeggiava in rilievo un ponfo bianco molto pruriginoso. Fintanto che la mia pelle si maculava in privato, poco male, anche se il prurito era atroce e distribuito democraticamente dalla testa ai piedi. Quando ciò avveniva in pubblico le cose si mettevano male, perché nessuno si faceva mai fatti suoi e la domanda “Ma cos’hai?” minacciava la mia difficile convivenza con il prossimo.
– Sarà il sapone?
– Sarà il cloro?
C’era sempre un “sarà” dietro l’angolo che mi faceva sentire inadeguata e diversa e che non mi permetteva di vivere serenamente nella mia pelle.
La pioggia, la nebbia, in estate, in inverno, al mare o in città, anche solo il sudore facevano di me una bambina a pois.
Nessuno ha mai capito perché mi trasformassi al cospetto dei liquidi, nemmeno il terribile medico di famiglia (all’epoca non c’era il pediatra) che per qualsiasi malessere consigliava cicli di iniezioni di penicillina. Mia madre ne conservava in quantità in un armadietto in cucina. Nemmeno il secondo medico di famiglia (il precedente dottor Maggio era anziano e defunse) riuscì a trovare una risposta alla mia pelle belligerante. Quest’ultimo, più giovane e carino, propose di sospendere l’assunzione di pesche, fragole, cioccolato e altri alimenti con una logica semi casuale.
Com’era ovvio che fosse, la mia pelle continuò indisturbata a prudere e a mettermi in imbarazzo.
Prima della mia partenza per l’Università, circa una dozzina di anni più tardi, un terzo medico di famiglia (quello carino aveva preferito fare il dentista e farsi pagare profumatamente infilando le mani delicate in bocca alla gente) affrontò il problema con professionalità prescrivendomi degli antistaminici (che risolvevano naso colante e occhi da bue, ma non i miei spilli sotto pelle in presenza di liquidi).
Seppure l’allergia all’acqua fosse un handicap notevole da un punto di vista fisico e psicologico (oltre al prurito fastidioso, mi dava sui nervi che la gente si impicciasse della mia pelle), in un paio di occasioni in piena adolescenza mi risultò di grande aiuto.
I miei genitori non mi lasciavano molta libertà di movimento. Le uscite con le amiche erano controllate al minuto. Orticaria o meno avevo voglia di crescere e, per certi versi, frequentando un noto liceo privato femminile, il desiderio di conoscere l’altro sesso non mi era totalmente oscuro. Prima o poi avrei dovuto sperimentare la prima cotta, la prima delusione, il primo bacio (molto “poi” per mio padre che quando mi beccò sotto casa a baciare il mio primo ragazzo mi chiuse in camera per due settimane, senza rivolgermi la parola per 336 ore di fila. Per la cronaca Riccardo, quello il nome del giovane, non era nemmeno il mio ragazzo, ma dovevo capire come funzionasse tecnicamente un bacio con la lingua. Come attenuante, il fatto che non fossi innamorata del giovane, non resse con mio padre – chissà perché? -, che per il resto dell’estate mi tenne sotto chiave).
Le amiche sono una risorsa imprescindibile in adolescenza e mio padre nel tempo decise di fidarsi più di loro che della sottoscritta, senza sapere che l’amicizia autentica, affinché sia tale, richiede quale fondamento il reciproco mutuo soccorso. Soprattutto se a un certo punto ci si innamora davvero e non solo per sperimentare lo scambio di saliva.
E qui sta il punto! La saliva e la barba non erano da sottovalutare, soprattutto se le sessioni di bacio si tenevano prima di una cena con parenti e amici di famiglia.
Successe che un sabato, dopo aver passato il pomeriggio col mio ragazzo, il contorno labbra fosse particolarmente irritato e arrossato, nonostante avessi cercato di camuffarlo con della cipria (le creme, a causa della loro simil-liquidità, non erano indicate sul mio viso).
Ricordo ancora lo sguardo di tutti, adulti e cugini, sulla porta di casa, fisso sul mio viso. Ero abituata a quel tipo di attenzioni, che normalmente mi avrebbero indispettita. Covando uno spropositato senso di colpa per la faccia che somigliava a un semaforo rosso, feci quello che ogni adolescente in quella circostanza avrebbe fatto. Mentii spudoratamente.
– C’era un sacco di nebbia questa sera in piazza. Guardate un po’ cosa mi è successo al viso.
Non sono sicura che se la siano bevuta, ma evitai di appurarlo.
La storia continua ancora. Se vi siete persi la prima parte potete leggerla qui.
E voi, come avete cominciato la vostra convivenza con le allergie?