Leggo il blog Mi mangio l’allergia da tempo (se non lo conoscete è arrivato il momento di farlo, ve lo consiglio spassionatamente). Monica, la curatrice, è la mamma di una bambina allergica e nel suo diario virtuale racconta la loro esperienza specifica. Perché su questo è impossibile non vederci d’accordo: ogni soggetto allergico, adulto o meno che sia, rappresenta un caso a sé e nessuno meglio del vostro medico che vi segue sa darvi i giusti consigli su cosa dovete fare per stare bene. Fatta questa premessa, ho deciso di fare qualche domanda a Monica perché chi vive con le allergie ha un suo vademecum privato che può essere d’aiuto sul piano umano anche ad altri.

Quando hai scoperto che tua figlia non stava bene? E soprattutto come?

Se ti riferisci alle allergie, direi a cinque mesi, perché la pediatra imputava la sua dermatite ad allergie alimentari e quindi le fece fare test per indagare le allergie. Ma è a un anno circa di età che ha avuto la sua prima reazione anafilattica (edema del volto e difficoltà a respirare), mentre la dermatite atopica… va e viene dalla prima elementare, dopo anni in cui ce ne eravamo quasi dimenticati!

Che tipo di supporto avete avuto all’inizio e successivamente quando la situazione si è stabilizzata? Per la tua bambina (e anche per voi genitori)?

Da diversi medici in realtà, perché quando si parla di bambini è decisamente più difficile avere un unico riferimento, quindi inizialmente avevamo: la pediatra tedesca (perché all’epoca vivevamo in Germania), ma anche una seconda pediatra italiana di fiducia (la zia!), quindi un medico allergologo italiano per le allergie e un medico dermatologo italiano per la dermatite atopica, perché le abbiamo sempre volute tenere separate e trattare di conseguenza e questo ci ha salvato in molte situazioni, evitandoci indagini diagnostiche inutili. Successivamente ci siamo allergologo e dermatologo.

Da mamma allergicissima, il mio timore è che i miei figli ereditino il mio dna (anche se nella mia famiglia d’origine sono l’unica pecora nera): chi nella tua famiglia ha sofferto o soffre di allergie o di dermatite atopica?

Dunque, io non sono un soggetto atopico (né allergie, dermatiti, riniti o altro riconducibili all’atopia), e che io sappia nessuno lo era nella mia famiglia. Il padre di nostra figlia, invece, da bambino era risultato allergico alla penicillina, ma poi scomparsa, pare, ma come sai il soggetto allergico lo è per sempre, semmai conosce periodi di assenza, o magari arriva all’età della vecchiaia senza mai più aver avuto sintomi, però non è detto. Una zia di mio marito ed una figlia di una cugina, invece, hanno sofferto di dermatite atopica, ma per i medici questo non sarebbe un fattore predittivo… sarà, ma io sospetto che non sia proprio così. Mi sa che è come i gemelli, prima o poi l’ereditarietà fa capolino, anche se non diretta.

Quanto e come l’alimentazione di tua figlia ha condizionato (se la condiziona) lescelte alimentari dell’intera famiglia? E quanto e come la vostra vita in generale ne risente, anche in positivo (sabato sera, feste di compleanni, vacanze…)?

L’ha condizionata moltissimo, nel senso che i pasti che consumiamo insieme a nostra figlia sono prima di tutto idonei per lei, salvo assaggi di formaggio a cui negli ultimi anni il suo papà non sa più rinunciare. Così come ha condizionato le cene con amici e parenti, ma solo nella scelta degli alimenti, non nel piacere di ricevere o di andare a casa d’altri, anzi. E’ bellissimo e scalda il cuore sapere di avere amici che ci tengono ad invitarci e a fare felice anche nostra figlia, preparandole magari qualcosa a parte, oppure qualcosa di buono per tutti ma idoneo per lei. Dobbiamo però ringraziare le sue allergie se siamo diventati esperti lettori di etichette alimentari e quindi conoscitori di cosa mettiamo nel piatto (per esempio pochi sanno che il tanto decantato sale iodato contiene un additivo, e che quindi, forse…, potremmo consumare quello integrale che non è stato privato dei sali minerali naturalmente contenuti nel sale marino per esempio). Così come dobbiamo ringraziare le sue allergie alimentari, se siamo diventati, o meglio cerchiamo di diventare consumatori più consapevoli in generale. Le vacanze… dipende dai punti di vista. Noi abbiamo la fortuna di poter andare in luoghi di villeggiatura dove ci sono parenti con cui si fa a turno per le case, però se dovessimo sempre cambiare luogo o soggiornare in albergo, ecco questo è un punto in continuo divenire, perché mangiare fuori casa, comeanche tu ben sai, non è proprio un percorso senza ostacoli, ma non è nemmeno mission impossible :).

Quando tua figlia ha realizzato che certi prodotti (alimentari e non) non facevano per lei come ha reagito e come l’avete aiutata?

Fino a qualche anno fa, tollerava abbastanza bene la diversità e la frustrazione di non poter mangiare tutto quello che mangiano i suoi coetanei, ora è decisamente più arrabbiata e lo dimostra a tavola sia a casa sia a scuola, dicendo che lei mangerebbe solo pollo arrosto e patatine! Un inferno insomma, ma quello che l’ha aiutata a scuola è stato sicuramente la condivisione con una amichetta molto cara celiaca, perché allora lì c’era la diversità al contrario: ”Pensa mamma, lei può mangiare il formaggio, ma non può mangiare la mia pizza, quindi non può andare in tutte le pizzerie che vuole”, giusto per fare un esempio.
Non vorrei essere troppo prolissa, ma ogni età ha il suo problema e la sua soluzione, temporanea, perché col passare del tempo, con le esperienze che si ha occasione di fare… si cambia e cambiano le aspettative, non so se mi sono spiegata…

Da persona che vive indirettamente con le allergie altrui, quale consiglio daresti ad un altro genitore (o marito/moglie) che si trovasse nella tua situazione?

Dunque, tu che mi conosci, ormai da un po’, sai che non amo dare consigli o istruzioni per l’uso, perché ogni soggetto allergico reagisce in modo del tutto soggettivo, così come sono diversi i contesti famigliari, sociali, lavorativi… Però, in generale, mi viene spontaneo suggerire:

1) cercare prima di tutto un medico di riferimento, oltre che competente, che sia anche empatico, perché lo stato di allergia o dermatite atopica possono sparire, per cedere il posto a nuove condizioni di atopia, magari in momenti insospettabili della vita (perché anche gli stress emotivi o fisici come certe malattie possono essere, potrebbero riaccendere l’una o l’altra). Una mamma, conosciuta per caso qualche settimana fa, mi raccontava che fino alla gravidanza si era scordata di essere stata allergica da bambina, ma che con la gravidanza “sarebbe diventata allergica a tutto e non sa più che cosa mangiare!” Inoltre, ci potranno essere tanti momenti di sconforto in cui è fondamentale avere un medico di cui ci fidiamo e al quale possiamo affidarci.

2) Se da un lato navigare in rete può aiutare, occorre essere sempre vigili e dotarsi di tanto senso critico, anche perché a volte ci sono siti la cui trasparenza non è così scontata (penso a un sito in cui ero incappata che parlava di allergie e poi avevo scoperto che alle spalle vi era una azienda che produceva cosmetica… quindi con un grande conflitto di interessi mi sembra).

3) Armarsi di tanta, tanta, tantissima pazienza, e quando ci si accorge che la si sta perdendo…

4) rivolgersi eventualmente a un esperto con cui sfogare le proprie ansie, angosce, perché ci sono casi molto severi di allergia che metterebbero a dura prova chiunque e non c’è nulla di male a farsi aiutare, anche se molti credono che chiedere consulto ad uno psicoterapeuta equivalga a essere “malato”, ma non è così e lentamente questa mentalità sta forse cambiando, perché vedo spuntare qua e là in rete convegni che cominciano anche a parlarne.

5) Rimanere curiosi verso il mondo e non vederlo come ostile, perché c’è sempre una soluzione, o almeno noi ci adoperiamo sempre per trovarne una ;-).

Grazie Monica :).